La Project Room di Palazzo Tagliaferro è un luogo dove giovani artisti sono chiamati a proporre un progetto artistico definito e pensato specificamente per gli spazi di Palazzo Tagliaferro. Un progetto che faccia parte della loro ricerca.
“Motus familia” è il titolo di questo progetto che si lega alla mostra principale di Jane McAdam Freud, dialogando con essa, grazie alla vicinanza delle tematiche affrontate e ad una sensibilità comune.
“Motus familia” richiama l’idea del movimento, dello smottamento affettivo che noi tutti viviamo partecipando alla vita in comune di quella “società ristretta” che è la famiglia. Divenuta centrale nella storia e nella cultura della Roma antica, la famiglia è il luogo della protezione, del riparo, del soccorso, oltre che degli affetti e della convivenza. I suoi movimenti corrispondono a volte a terremoti sentimentali e psicologici per coloro che sono coinvolti.
Il progetto di Fabris indaga il senso di questa millenaria istituzione proponendo una grande installazione in grado di farci attraversare le storie e le suggestioni di tre nuclei familiari così come l’artista li ha vissuti e ricostruiti attraverso il disegno, la pittura, la videoarte e l’installazione.
“Questa mostra – dice Fabris – riguarda la mia di famiglia, una famiglia acquisita e una famiglia trovata; la seconda guerra mondiale e la guerra in Vietnam. E’ una specie di micro-epopea che parte dalla mia di famiglia per poi conoscerne una seconda e “adottarla” per un solo giorno, e quindi trovarne un’altra in un container (delle foto ed oggetti che probabilmente appartenevano ad un anziano signore deceduto) e raccoglierne il testimone”.
Il lavoro é articolato su diversi registri: il disegno, la fotografia, il video, il suono ed una scultura fatta con giornali francesi degli anni 1938-42.
Fabris parte da un discorso personale ed intimo intessuto con i suoi genitori come testimoni oculari di un tempo che l’artista non ha vissuto; poi passa al suo vissuto diretto con la famiglia, “per un giorno soltanto”, che si ricostruisce attorno alla figura di un poeta “on the road” vietnamita giunto a Parigi nel 1968, in fuga dalla guerra, e finito a vivere ai margini della società, ma con dignità e consapevolezza. La “famiglia trovata” è invece quella fatta di reperti fotografici che l’artista recupera da una fine sicura e trasforma in opere d’arte, facendoci vivere il senso di una nostalgia che si fa concetto e pratica estetica.
“Sento personalmente molto vera la frase di Jane McAdam Freud che dice: continuo a ritrarre mio padre per mantenerlo in vita – dice Fabris -. Credo che valga anche per me e per tutti noi: il fatto di rivedere una foto, di ripetere una frase che apparteneva ai nostri cari, un’espressione del viso, un profumo, fa rivivere in noi quelle persone per un istante. Persone che abbiamo amato e che continuiamo ad amare; e che abitano per sempre una parte di noi stessi”.