La prima stagione espositiva del centro di cultura contemporanea di Palazzo Tagliaferro ad Andora si conclude con due nuove mostre d’arte che affrontano il tema della relazione con la realtà da un punto di vista dell’apparato visivo e dell’occhio in un’ottica che trae da una delle opere principali del pittore surrealista belga, René Magritte.
“La nascita di nuovi musei e centri d’arte contemporanea in tutto il mondo, dalla Cina all’America Latina e fino ai Paesi del Medio Oriente, stanno dimostrando come l’arte contemporanea sia diventata ormai un linguaggio globale, capace di attraversare barriere linguistiche e culturali per dare accesso ad immagini che aspirano all’universalità”, “L’arte di oggi si nutre di nuove idee ma anche e soprattutto del dialogo con gli spazi espositivi, che diventano sempre più motivo d’ispirazione per gli artisti e di piacere estetico per i fruitori, oltre che occasione di mantenimento e valorizzazione del patrimonio storico di una città e di un Paese. Palazzo Tagliaferro è un esempio lampante di questo nuovo trend mondiale, e ciò grazie alla lungimiranza dell’Amministrazione andorese che è stata capace di riconoscere un valore in quelle che furono le “rovine” di un magnifico palazzo ottocentesco quasi affacciato sul mare e da molti decenni abbandonato, facendolo diventare una delle eccellenze della Riviera di Ponente, per bellezza, importanza storica e capacità di accoglienza”.
Le due mostre qui esposte concludono il primo anno di attività di Palazzo Tagliaferro ha prodotto una ricca serie di eventi, oltre quindici, registrando un successo di spettatori e una buona ricaduta sulla stampa nazionale e internazionale che ha promosso il “marchio” Andora presso importanti bacini turistici. L’apertura dei giardini e dell’anfiteatro di fronte al palazzo, oltre che il campo giochi e di bocce, hanno permesso la creazione di ulteriori nuovi eventi come la rassegna “Sguardi Laterali”. Il primo anno di attività è sempre anche una fase di avvio, di conoscenza e di potenziamento. Per l’anno a venire ci aspettiamo un ulteriore arricchimento delle proposte lungo tutto il corso dell’anno, poiché Palazzo Tagliaferro è innanzitutto un luogo pensato per gli andoresi, che possono trovare qui un’offerta culturale anche al di fuori dei mesi di alta stagione turistica. Ad oggi, siamo molto soddisfatti e ringraziamo tutti coloro che hanno lavorato al progetto, sia il personale del Comune, sia le persone di Whitelabs. La professionalità e l’impegno profusi da tutti hanno permesso di portare ad Andora artisti di calibro internazionale, come Jane McAdam Freud, Kazuo Ohno o Enrico Rava, e una quantità di arte contemporanea di alto profilo, che è stata recensita positivamente, aumentando il prestigio di tutta Andora.
Le Faux Miroir
Federico Gori | Antonio Lo Pinto | Silvia Mei
Noemi Montanaro | Liesje Reyskens | Anna Witt
Nel 1929, René Magritte, dipinge “Le Faux Miroir”. Il dipinto è un olio su tela di piccole dimensioni (soltanto 54x81cm), ed oggi è conservato presso il MoMA di New York. In questo periodo viene esposto nella grande mostra personale che il museo americanodedica al grande pittore surrealista belga (“Magritte: The Mistery of Ordinary”, fino al 12 febbraio 2014).
“Magritte dipinge tre versioni di quest’opera, una delle quali regalerà a Man Ray come segno di gratitudine per averlo ispirato. L’opera raffigura un occhio in primissimo piano: nell’iride si riflette un cielo azzurro e nuvoloso con al centro un punto nero. Il dipinto indica un punto nevralgico della proposta surrealista: l’organo della visione, il quale non è più considerato uno specchio fedele della realtà esterna, bensì come uno specchio “falso” che riflette l’interiorità di chi guarda sulle cose del mondo. Capovolgendo il primato dell’interiorità a sfavore dell’oggettività esterna, ogni cosa concreta diventa simbolo e la pittura surrealista lo utilizza come tale per comporre un linguaggio nuovo capace di scardinare il realismo a favore di uno psichismo che aprirà le porte della modernità rendendo i linguaggi dell’arte molto più liberi e disinibiti”.
Il curatore della mostra trae spunto da quest’opera per raccogliere un gruppo di artisti attorno alla ricognizione di una realtà che assume i toni di una “allucinazione”, sia intima sia condivisa.
Vania Comoretti
Visibile
La mostra personale di Vania Comoretti (Udine 1975, vive e lavora tra Udine e Venezia), raccoglie lavori eseguiti negli ultimi anni, fino a opere inedite create appositamente per la mostra di Andora. La sua mostra ha molti punti di contatto con il tema della mostra collettiva Le Faux Miroir, e occupa tre ampie sale di Palazzo Tagliaferro, per rendere omaggio ad un’artista emergente già vincitrice dell’ambito Premio Shadow, indetto dalla Saatchi Gallery di Londra.
Nel suo progetto più recente intitolato “Iride”, Vania Comoretti analizza la parte dell’occhio che più di tutte vanta una letteratura scientifica, filosofica, esoterica, di grande importanza. L’interesse di Comoretti per l’iride nasce da una vicenda personale che viene analizzata nel suo essere specchio di legami di sangue e genetici. L’iride si perpetua all’interno delle generazioni di una stessa famiglia. Per Comoretti, identifica “il luogo di appartenenza delle persone”. I ritratti restituiscono lo sguardo allo spettatore, in un gioco di “mise en abime” per cui l’opera guarda colui che la guarda, delineando così un vis-à-vis tra opera e fruitore.
I ritratti di Comoretti sono spesso dei polittici nei quali il volto della persona rappresentata (di solito appartenente ad un cerchio ristretto composto da familiari e amicizie strette) viene analizzato sotto diversi punti di vista e di luce. Il ritratto come genere viene quindi ripensato attraverso una moltiplicazione di sguardi che tentano di rendere conto della complessità e fascino del reale.
Comoretti utilizza un procedimento di ingrandimento e di focalizzazione del dettaglio, portando in luce il particolare per studiarne il colore, la luce, la brillantezza, la tessitura biologica. Così facendo Comoretti usa l’idea dello “studio” antico, dello schizzo preparatore, che nel disegno antico accoglieva su uno stesso foglio varie pose del capo e dettagli espressivi. Ella traccia una bio-logia, una logica del bios, del corpo organico che nella sua configurazione può diventare scrittura, geroglifico, perfino simbolo. Molta filosofia contemporanea ha sostenuto una rivalutazione del corpo nei confronti dell’anima, ribaltando la logica meccanicistica che la modernità aveva ricavato da Cartesio, per avvalorare la tesi di un corpo che è anche anima e di un’anima che è anche corpo, ovvero di una non separabilità tra quella scrittura fisica e organica che è il nostro corpo e quel principio ordinatore che detta le regole di tale scrittura, qual è l’anima.
Il lavoro di Comoretti è alimentato da una profonda intenzione analitica, dalla volontà di rappresentare la forza e il senso di una “mappatura” dei corpi che in questa nuova occasione espositiva si basa sulla ricerca di un progetto che nasce dalla constatazione che il “personale è reale” ed è fatto di sensazioni tattili, di sguardi unici e irripetibili, di cui la mostra rappresenta un tentativo di esaltazione, profondamente conturbante.