ANDORA. Nella sua seconda personale in Italia, la prima mostra in uno spazio pubblico, Jane McAdam Freud propone un corpus di opere provenienti da storiche e recenti serie di sculture, installazioni, fotografie e lavori su carta con i quali l’artista inglese riflette sul tema a lei caro del “prendersi cura”, come indicato dal titolo. Questo concetto viene declinato in modi diversi e rimanda all’assunzione di responsabilità derivante dai legami familiari, dai lasciti spirituali e concettuali che l’artista elabora nella propria opera.
In questa mostra l’artista inglese riflette sul rapporto con le proprie radici culturali e parentali. In special modo con il padre e con il bisnonno: rispettivamente il pittore inglese Lucian Freud e il padre della psicoanalisi Sigmund Freud, ai quali l’artista dedica alcune opere. Tutta l’opera di Jane è portatrice, in modo originale, di questa eredità familiare che è la psicoanalisi, l’indagine interiore che anche in un pittore come Lucian Freud è stata di basilare importanza.
Dietro i ritratti del padre e del bisnonno si cela un’esperienza umana e affettiva dai toni drammatici e dalle passioni immortali. Decisa fin da piccola ad essere artista, Jane approccia la psicoanalisi attraverso i racconti che gliene fa il nonno paterno, Martin Freud, primogenito di Sigmund e autore di un libro, “Sigmund Freud: Man and father” (J. Aronson, New York, 1958) che diventerà la fonte di tutte le biografie del padre della psicoanalisi.
Di Sigmund, Jane crea un “ritratto per interposta persona” composto da una selezione di disegni dedicati alle statuette delle civiltà più antiche di cui il padre della psicoanalisi è stato un avido collezionista. La sua collezione, conservata nel Freud Museum di Londra (la sua ultima abitazione) conta circa 2.000 pezzi: dalle statue Etrusche a quelle Maya, da quelle di primitive civiltà africane a quelle della Grecia e di Roma antiche, fino agli imperi orientali. Si tratta di sculture che ritraggono divinità, simboli di fertilità e potenze occulte. Jane lavora su questa collezione durante una sua residenza d’artista al Freud Museum: ritrarre le statue appartenute a Sigmund è un po’ come eseguire un ritratto del bisnonno attraverso oggetti che per lui hanno avuto un significato ed un valore particolari.
La scultura, il disegno e l’arte concettuale sono i mezzi con cui Jane approcciare il lato rimosso, ma vivo e influente, del ramo familiare dei Freud, ritrovato dopo oltre due decenni di distanza dovuti al divorzio precoce (Jane aveva allo otto anni) della madre Katherine McAdam (fashion designer e illustratrice) e il padre Lucian Freud.
L’arte di Jane si nutre di questo suo “prendersi cura” del mondo a lei prossimo: quello degli affetti familiari. Da essi trae ispirazione, anche formale: come quando incontra la pittura di Francis Bacon, amico personale del padre, e si scopre rapita da come la scultura possa assumere su di sé il carattere della pittura più violenta e “defigurata” inventata dal pittore “maudit” dublinese. Nasce così la serie dei bronzi intitolata “After Bacon” (proposti in mostra) nei quali i corpi sono modellati da una manualità veloce e non priva di violenza, che traduce nella terza dimensione una delle tecniche più fortunate perché capace di riflettere i toni drammatici della condizione dell’uomo contemporaneo, quello uscito dalla seconda guerra mondiale. Jane traduce questo “modo di vedere” baconiano in una scultura realizzata di impulso, capace di registrare la forza bruta con cui il gesto “fuori controllo” e spontaneo s’imprime nell’argilla e si trasmette nel bronzo.
Incentrata su una “conoscenza intuitiva” e non accademica della psicoanalisi, e della dimensione dell’inconscio, inteso come la presenza di “un altro” dentro di noi, l’arte di Jane McAdam Freud si arricchisce di serie di lavori incentrati sul rapporto con questa conoscenza, di cui l’artista si prende cura configurandosi come una “erede affettiva” del lavoro dei Freud. Nascono così le serie dei “Motti di spirito”, realizzati su vinile e dedicati ai giochi di parole (brillantemente analizzati da Sigmund Freud), i dipinti su carta che evocano le forme astratte variamente interpretabili delle celebri tavole di Rorschach, macchie di colore in cui ciascuno di noi “vede” ciò che il suo inconscio gli suggerisce. Con alcune di essi Jane costruirà in mostra una installazione. Altre due installazioni site specific, pensate appositamente per gli spazi di Palazzo Tagliaferro, offriranno un ulteriore motivo di sorpresa e di coinvolgimento per il pubblico, in una mostra che si configura come una sorta di rebus visivo, dove ogni elemento possiede un senso specifico e quasi nascosto.
Scultrice di successo, Jane McAdam Freud propone anche diversi disegni, che sono per lei il modo più immediato di elaborare il suo rapporto con gli avi e con la psicoanalisi. L’immagine, più delle parole, può svelare il desiderio, la mancanza, la rimozione, e l’impulsività della nostra vita cosciente ed inconscia.
Jane McAdam Freud “mette in opera” quei meccanismi e quel modus operandi della psiche che Sigmund Freud ha analizzato attraverso il potere della parola.
“Continuo a ritrarre mio padre per mantenerlo in vita”, dice Jane. Alcuni suoi ritratti del padre Lucian Freud (anche colto sul letto di morte: “mi ritrarrai quando non potrò più dipingere” le disse un giorno) denotano un affetto e una cura commoventi. Dopo gli studi appassionati al Saint Martin College e alla Royale Academy di Londra, Jane ritrova le sue radici dal nuovo incontro con il padre. Da qui nasce una relazione intensa e profonda, ma senza compiacimenti o patetismo. Si tratta di un incontro tra due artisti maturi, anche se appartenenti a generazioni diverse. L’affetto, che è stato rimosso per 23 anni, può tornare ad agire e ad esprimersi nel linguaggio dell’arte. Lucian ammira il lavoro della figlia e le chiede di insegnargli a scolpire. Jane ama quel padre schivo e intenso che ha perduto a otto anni e gli chiede, come massimo gesto d’amore, di poterlo ritrarre.
Il disegno diventa il modo per tornare ad appropriarsi del volto paterno. Lucian glielo consentirà verso la fine della sua vita poco prima che si spenga a fine luglio 2011. Jane lo ritrae dormiente e sveglio, non per caso. Il sogno e la veglia sono due mondi separati che sottostanno a leggi psichiche divergenti, mettendo in atto energie e poteri diversi. Jane ne è consapevole e da questi disegni trarrà una grande scultura di terracotta, un capolavoro esposto nelle mostre più importanti. E trarrà un’immagine che è divenuta nel tempo una icona: “Us” (in mostra) vede i due volti di Jane e Lucian fusi insieme in un collage che dimostra l’incredibile somiglianza, l’inevitabile paternità, al di là delle drammatiche vicissitudini della vita. Si tratta di un’opera che parla di Jane, del proprio vissuto ma anche di noi, di quel vissuto drammatico che ciascuno di noi, individualmente, esperisce nella propria vita affettiva, tra rotture, incontri, scontri e pacificazioni. In quella galassia di affetti familiari di cui, inevitabilmente, ciascuno di noi è chiamato a “prendersi cura”.
Il video “Dead or Alive” (2005-2006) chiude la mostra della poliedrica artista inglese. Si tratta di una fusione, un dialogo, tra i meravigliosi reperti delle collezione Freud e i ritratti che l’artista esegue durante il suo residence d’artista. La relazione parentale viene qui affidata al campo “neutro”, ma emotivamente potente, delle opere d’arte di un passato antico, difficile da ricordare ma presente nella forza della scultura. Le musiche che accompagnano le immagini sono di una compositrice amica dell’artista che, mentre soffre di un grave male debilitante, continua a comporre e suonare. Jane ammira la forza vitale di chi non si arrende e il film riflette questa sua sensibilità nei confronti della perdita, della morte, ma anche dell’incontro, della vita.