ISOLE. EXTIMITÉ / SOVRAESPOSIZIONE DELL’INTIMITÀ

INAUGURAZIONE
27 DICEMBRE 2022

ISOLE. EXTIMITÈ

Sovraesposizione dell'intimità

A cura di Christine Enrile e Viana Conti

Il 27 dicembre si inaugura una mostra di cinque artisti, appartenenti a due generazioni differenti, ma la cui opera, sia storica che attuale, rientra nello scenario in fieri dell’arte contemporanea. Il termine francese lacaniano Extimité – definito anche parola-valigia, in senso carrollianoche intitola l’esposizione, è riferibile a ciò che dell’intimità di un soggetto (in particolare quello creativo) viene esposto all’esterno mediante uno stretto confronto con l’altro e con l’altrove, con la profondità abissale dell’io e l’esteriorità multidimensionale dell’ambiente, alla luce di un’elaborazione profonda di se stesso. Perfino la lingua impiegata per parlare di sé appartiene all’alterità, alla funzione del linguaggio. Aprendo spazi al gioco di tensioni tra l’interiorità e l’esteriorità, le opere degli artisti esprimono gli estremi del dato emotivo sia nella percezione del piacere che del dolore, del desiderio o dell’inibizione. In un’etica del limite, elaborata dal filosofo Remo Bodei nella sua Geometria delle passioni, vincoli di ordine politico, familiare, confessionale, sociale, antropologico, mentale, interferirebbero sui destini personali o di massa, sulle ansie di realizzazione del singolo come sulle attese della collettività. Si ripresenta il confronto tra la questione della presentazione anti-illusionistica e della rappresentazione mimetica, del formalismo wölffliniano e dell’iconografia panofskiana, della mediazione tra lo sguardo fotografico e quello emozionale, tra l’inconscio tecnologico – teorizzato da Franco Vaccari – e l’inconscio psichico, teorizzati da Freud e Lacan, a livello archetipico da Jung.

VISITABILE FINO AL 19 MARZO

SIAMO APERTI dal giovedì alla domenica 15.00 - 19.00 (invernale) / 19.00 - 23.00 (estivo)

ARTISTI IN MOSTRA

Živa Kraus

Figura artisticamente e culturalmente carismatica, appartenente alla neo-avanguardia multimediale del Novecento e all’arte contemporanea, Živa Kraus è una pittrice, gallerista, curatrice storica, nata a Zagabria, capitale croata in cui si è formata all’Accademia di Belle Arti. Naturalizzatasi italiana, dal 1971 è attiva e residente a Venezia, città dove completa i suoi studi di Scenografia presso l’Accademia di Belle Arti e in cui diventa assistente dello Studio Vedova. Realizza, nel 1972, la sua prima mostra personale allo Studio Galerije Forum di Zagabria, nel 1975 espone alla Galleria Il Canale di Venezia. Nel 1973 diventa assistente della collezionista e mecenate statunitense Peggy Guggenheim e dal 1974 al 1976 della Galleria Il Cavallino di Carlo Cardazzo, collaborando anche con il di lui figlio, Paolo, nell’ambito della videoarte di cui è esponente. È nota, internazionalmente, per aver fondato, nel 1979, l’ormai storica Ikona Photo Gallery e nel 1989 Ikona Venezia International School of Photography, Pittrice e disegnatrice sensibile e innovativa, viene, nel 1979, recensita, dallo scrittore, critico e drammaturgo Alberto Moravia, suo estimatore e sodale, che la definisce «Realista dell’invisibile, proprio come Courbet e Guttuso sono realisti del visibile». Živa Kraus presenta in mostra un corpus di dodici opere su carta, di pittura e disegno astratti, ad andamento segnico, gestuale, scritturale. I suoi pastelli sono – come lei stessa li definisce – pagine di polvere e luce, di quella particolare luce lagunare in cui è ravvisabile la sua città d’adozione, quella Venezia a cui non cessa di consegnare il lascito culturale della sua vita nell’arte. Reduce dall’ampia mostra multimediale personale Unica - Živa Kraus, promossa, a Venezia- Mestre, dalla Marina Bastianello Gallery, approda, con questa sua nuova “Isola” espositiva, nell’International Culture Center di Palazzo Tagliaferro, Andora, che ha visto, per lunghi anni di frequentazione, la presenza dell’artista britannica, recentemente scomparsa, Jane McAdam Freud. Al quarto decennale della sua attività pittorico-galleristico-curatoriale, la Fondazione Ugo e Olga Levi celebra, nel 2019, tale significativo anniversario, con la rassegna e il libro “Memory for the Future – 40 anni di Ikona Gallery a Venezia”, accompagnato da rilevanti, internazionali, interventi critici. Nel 2021 il Museo d’Arte Contemporanea di Zagabria le dedica l’ampia mostra personale Živa Kraus – U svijetu umjetnosti/ Živa Kraus – Nel Mondo dell’Arte. L’opera pittorica e il disegno di Živa Kraus scaturiscono da un colore che si dà e si nega, come la luce e l’ombra di un corpo che accade nello spazio. Il segno creativo, sotteso a una pulsione desiderante, esce dall’oscurità della “caverna” per farsi visibile nel paradosso lacaniano di un’extimité, di un’intimità esposta. Un’opera la sua che si confronta con il non-finito dell’infinito, con un colore che mette a distanza il simbolo per farsi carica espressiva di se stesso, segno vettoriale, macchia densa o rarefatta iscritta in uno spazio fluido.

Andrea Chiesi

Andrea Chiesi, ideatore, in disegno e pittura, di architetture meta-reali, investe la sua intensa carica pulsionale nel ricostruire, visionariamente, strutture abbandonate, riconsegnando loro una vita subliminale. Affiorano, nella sua opera, radici alimentate, in anni giovanili, da una controcultura Punk e post Punk, quando disegnava fumetti e fanzines per liberare, creativamente, le sue ossessioni. Davanti all‘irrefrenabile vena produttiva di questo artista, pur se, nel tempo, sempre più riflessivamente cadenzata, vien fatto di chiedersi se la fase iniziale della sua opera scaturisca più da una sua urgenza estetica o da una “colonna sonora” generazionale, a partire anche dalle sue intense frequentazioni di centri sociali, figure poetico-letterarie outsider, locali musicali underground di connotazione punk, new wave, dark. Pensabilmente, le due urgenze di Chiesi artista convergono in una scelta che si trasforma nel segno gestuale, formalmente organizzato, di fermi-immagine in sequenze virtualmente filmiche. Accanto all’interazione mimetica tra fotografia e rappresentazione pittorica del reale, trova un suo spazio anche il dispositivo narrativo, non del tutto estinto, della fase fumettistica. Chiesi – oggi figura sospesa tra un monaco Zen e uno sciamano - restituisce protagonismo - nelle sue varianti del blu, del grigio Payne, nella scala dei verdi tra cui il permanente scuro, nella dominante luttuosa del nero - anche alle erbacce, alla pavimentazione dissestata, ai tralci vegetali invasivi, all’ossidazione dei metalli, al vissuto della rovina, in quanto micro o macrocosmo vitale. L’opera di Chiesi nasce dall’empatica percezione interiore di quelle tracce che un passato industriale ha lasciato sul campo come presenze-assenti, defunzionalizzate, relitti di un tempo storico irreversibile. È uno stato del lavoro sociale e antropologico quello che anima i deserti metropolitani ricostruiti negli inchiostri, nei disegni, nei dipinti, permeati di memorie, dell’artista di Modena. La ricerca artistica di Andrea Chiesi è nota per la particolare attenzione a spazi industriali destinati alla riconversione, rappresentati in modo minuzioso attraverso la pittura e in seguito a una serie di incursioni del luogo. Il dipinto è la manifestazione finale della sua ricerca ma un ruolo significativo lo svolge la fase processuale che la precede (realtà, fotografia, disegno). In mostra sono presenti disegni a inchiostro e pennarello su carta, pastelli a olio, che alludono però al comportamentismo dell’artista che esplora luoghi abbandonati, strizza l’occhio all’automatismo fotografico, riproduce in velocità per favorire la contemplazione in studio. La realtà si trasforma mediante la pittura che permette a Chiesi di modificare ciò che vede, alterando i micro e macro particolari che ritiene più significativi. Anche la cromia delle sue opere merita una riflessione: il nero e il grigio si mescolano a una serie di gradazioni di azzurro, il dipinto così ottenuto prende le distanze dal bianco e nero di certa fotografia di documentazione architettonica, così come dalla visione a colori tipica del nostro sistema percettivo. In questo modo l’artista instaura un dialogo differente col suo interlocutore, spostando l’attenzione dalla realtà a un piano personale e immaginario.

Madmeg

Mad Meg – nasce nel 1976 a Villeurbanne, Francia, vive e lavora a Parigi – artista di talento nel disegno figurativo, particolarmente a inchiostro di china, rappresenta un universo in cui maschilismo, patriarcato, discriminazione di genere, status sociale, confessione, etnia, vengono messi alla berlina come personificazione di un bestiario-umano dai risvolti satirico-allegorici, ironico-simbolici, tragico-grotteschi. Delineando un netto Asse del Maschio/Axe du Mâle, come donna “arrabbiata” non manca di denunciare la corruzione generalizzata dei sistemi di potere d’Oriente e d’Occidente, gli abusi del sistema sanitario e di un mercato farmaceutico che compromette il diritto alla salute perfino in un’epoca di pandemia virale a livello globale. Il suo sito si presenta, senza esitazioni e filtri, come New Shop Mad Meg, suggerendo, a un possibile estimatore collezionista, come un suo disegno a inchiostro di china su carta possa aprire uno spazio visionario in un anonimo interno domestico. L’artista francese mette in atto un’analogia simmetrica con la figura androgina, delirante, dell’opera di Pieter Bruegel il Vecchio Greta la pazza/Dulle Griet, del 1562, assumendone il nome che viene ripreso nell’ambito della mostra, del 2019, al Museo Mayer van den Bergh di Anversa, intitolata, significativamente, Mad Meg. Rebellion- Provocation-Despair-Feminism. Come Lautréamont nei suoi Canti di Maldoror, pubblicati nel 1874 sotto lo pseudonimo di Conte di Lautréamont, e nel 1890 con il suo vero nome Isidore Ducasse, così Mad Meg canta gli orrori dell’uomo, “bestia feroce”, con una fantasia immaginifica, con una capacità iconografica descrittiva di sottigliezza mimetica estrema, ricostruendo una sua Weltanschauung/Visione del mondo di segno allucinatorio, apocalittico, nichilista. Nel disegno “Il sabato delle Erinni”, una donna nuda e alata, sul globo terrestre, tenendo in una mano un cellulare da cui si diparte un fascio di cavi con attacco USB, offre, sorridendo, all’uomo sospettoso e corrucciato, una coppa di Lacrime maschili. L’immaginario serpentino e irrefrenabile di Mad Meg mette in opera, con affilati strumenti caricaturali, con provocatorie citazioni scritturali, un’epica poetica della disperazione. Quella che su un versante è una denuncia, sull’altro diventa un canto alla fragilità e vulnerabilità dell’esistenza.

Lorenzo Gatti

Lorenzo Gatti, artista e teorico italo-belga - nasce nel 1955 a Baringa, Repubblica Democratica del Congo. Dopo una parentesi anni Ottanta/Novanta a Genova, risiede a Milano e lavora a Milano e Bruxelles – si è formato all’Accademia di Belle Arti di Venezia, allievo di Emilio Vedova, e all’ École nationale supérieure des arts visuels de La Cambre, fondata, a Bruxelles, da Henry van de Velde. Il suo processo operativo prende avvio a partire dalla scelta di un suo campo semantico, in cui l’arte si confronta epistemologicamente, concettualmente, con filosofia, strutturalismo, sistematica morfologica, analisi storico-etico-coscienziale, modalità linguistica analogica e virtuale. Nei suoi ricorrenti edifici-bunker viene inglobato, accerchiato, avvolto, un ospite, tramite quell’azione che l’artista denomina fagocitosi. «Per i miei Corona diary sketches – interviene l’artista – non poteva esserci titolo più paradigmatico di Isole. Quando, nella fase più acuta del virus pandemico ha preso evidenza inconfutabile la vulnerabilità umana, ogni cittadino, artisti compresi, ha dovuto venire a patti con l’esigenza concreta di procurarsi il cibo, ma anche quel materiale e quegli attrezzi senza i quali un soggetto creativo risulta paralizzato. Alla dichiarazione di stato di emergenza e di entrata in vigore del lockdown, nell’impossibilità di raggiungere il mio studio. mi sono ritrovato con una matita, ma senza carta da disegno. Non mi restava dunque altro che disegnare sul retro di fogli già stampati. Per i Corona diary sketches in mostra – realizzati, dal 13 al 29 aprile 2020, a grafite e matita su carta formato A4, intitolati alla data del giorno – ho adottato una cornice bianca cm. 29x40. Per visualizzare il mio utilizzo di pagine già scritte, ho reso visibili i bordi del foglio stropicciandoli e rivoltandoli manualmente verso l’interno della superficie da me disegnata, a formare una sorta di improvvisata cornice “barocca”. La piega, figura che, nell’opera di Lorenzo Gatti, rinvia alle curve, alle spirali, alle torsioni ellittiche, tipiche dell’anticlassico stile barocco, riconduce a pensatori come Leibniz, Deleuze, Spinoza, Perniola, nonché ai pliages del pittore ungherese, naturalizzato francese, Simon Hantaï. In vista dell’incontro sulle planimetrie spinoziane di Gatti, con il filosofo torinese Maurizio Ferraris, parte dei Corona diary sketches sono stati esposti, recentemente, da Giuliana Carbi Jesurun, allo Studio Tommaseo dell’Associazione Trieste Contemporanea. Non stupisce l’interesse di un filosofo nei confronti di un linguaggio estetico che, come quello di Lorenzo Gatti, non cessa di delineare planimetrie del pensiero, architetture del concetto e del percetto, catene ripetitive di ascendenza deleuziana.

Luisella Carretta

L’artista Luisella Carretta - nasce a Genova nel 1938, scompare nella sua città natale nel 2021 - esordisce nei primi anni Settanta interrogandosi sul rapporto uomo-natura. Nel 1973 dà inizio alla trascrizione grafica del volo dei rapaci, esperienza che la mette in diretto contatto con l’ambiente scientifico-ornitologico. Gli anni Settanta-Ottanta la vedono infatti impegnata nell’analisi di un equilibrio volto al recupero di una vivibilità dell’uomo sul pianeta Terra. Per questo suo impegno e interesse viene invitata da Giorgio Celli, etnologo, etologo, scrittore e accademico, alla Quarantaduesima Biennale di Venezia del 1986, sulla tematica Arte e Scienza, nella sezione Arte e Biologia. Intensa la sua attività espositiva a livello internazionale sempre sul tema arte/natura/scienza. Nel 1987 fonda e dirige l’attività culturale dell’Associazione Le Arie del Tempo. Nel 1995 Villa Croce - Museo d’Arte Contemporanea di Genova promuove una sua mostra antologica. Dagli anni Ottanta compie viaggi in America, Africa, Asia e nord Europa, partecipando anche ad esperienze di isolamento in natura con altri artisti e realizzando diari, disegni, installazioni e performance. Nel 2009, un’epoca in cui ormai dilaga la corrispondenza telematica, Luisella Carretta cura, con Giuseppe Zuccarino e Marco Ercolani alla Biblioteca Civica Berio di Genova, la mostra “Lettere” «con l’intento di riportare l’attenzione sul genere ‘lettera’ come frammento intimo, foglio sparso, appunto necessario a scandagliare l’animo umano con emozioni e pensieri pertinenti al processo creativo dell’artista». Nei primi anni Novanta mette in opera il progetto di una creatività nomade, esterna al sistema competitivo occidentale. In uscita il volume a lei dedicato “Foglie Vento Sabbia l’incantata leggerezza del cosmo nell’opera di Luisella Carretta”, a cura di Simonetta Spinelli, Serel International, Stefano Termanini editore. Luisella Carretta è un’artista che considera i suoi itinerari in natura come esperienze interiori, osservazioni del mondo registrate tramite la pittura e la scrittura, “sovraesposizioni “, anche performative, della sua intimità.