1963 – 1973 | carmelo bene e claudio abate

INAUGURAZIONE
26 LUGLIO 2014

CARMELO BENE | CLAUDIO ABATE

1963 - 1973

A cura di Nicola Davide Angerame

ANDORA – La stagione estiva del Centro di Cultura Contemporanea di Palazzo Tagliaferro ad Andora si corona con una mostra d’importanza storica: la retrospettiva di due autori di primo piano come Carmelo Bene e Claudio Abate. Da loro incontro e dall’amicizia profonda che nasce tra loro nel 1963, scaturiscono dieci anni di intensa collaborazione durante il quali Claudio Abate (Roma 1943), uno dei maggiori fotografi italiani viventi, immortala a futura memoria il volto, i gesti e le gesta sceniche del più controverso e osannato scrittore, regista e attore teatrale Carmelo Bene (Campi Salentina 1937 – Roma 2002).

La mostra propone una selezione di circa 70 fotografie, rimaste chiuse nell’archivio di Claudio Abate per 40 anni ed esposte soltanto una volta a Roma tra il dicembre 2012 e febbraio 2013.

Rappresentano un documento straordinario per conoscere il mondo e il modo nel quale Carmelo Bene ha mosso i primi passi: dalla storica e scandalosa pièce teatrale “Cristo ’63” che portò Bene sulle pagine dei giornali, alla “Salomé” (1972) film invitato alla XXIII Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Nel corso di questi dieci anni “incandescenti”, Bene ha lavorato molto per il teatro e per il cinema. Questa mostra testimonia la sua esuberanza, la prolifica immaginazione e il lavoro serrato di quegli anni considerati tra i migliori della produzione di Bene.

La mostra testimonia anche la maturazione professionale di Claudio Abate come fotografo capace di farsi autore anche quando segue Bene come fotografo di scena. Il suo occhio è partecipe e distaccato allo stesso tempo. È dentro le scene, segue le prove e ritrae un lavorio fatto in spazi angusti, spesso casalinghi, ma con la forza creativa di uno dei massimi uomini di taetro del secondo Novecento.

Oltre al lavoro con Bene, che lo ha voluto con sé, Claudio Abate avvia in quegli anni una carriera di fotografo dell’arte contemporanea che lo vede oggi maestro riconosciuto (celebrato con una mostra personale alla Biennale di Venezia del 1993 e una retrospettiva recente al MART di Rovereto): testimone e co-autore di tante performance e installazioni effimere di artisti del calibro di Jannis Kounellis, Gino de Dominicis, Pino Pascali e molti grandi nomi dell’arte italiana e internazionale. Carmelo Bene sarà la sua parentesi teatrale, che oggi ci permette di avere immagini uniche e preziose: visioni rubate “da dentro” e da vicino a quel mondo onirico e surreale che è stato il mondo di Carmelo Bene.

La mostra rappresenta un’occasione unica per conoscere da vicino un capitolo di “storia del teatro italiano” che ha prodotto molti ammiratori e proseliti ma nessun continuatore, essendo Bene un “unicum”: riconosciuto, seguito ed apprezzato da intellettuali e scrittori come Alberto Moravia, Ennio Flaiano, Alberto Arbasino o Pier Paolo Pasolini, che lo volle attore in “Edipo Re”.

In data da definirsi (durante la mostra in corso) sarà organizzato un incontro con Lydia Mancinelli che per 20 anni, dal 1964 al 1984 circa è stata l’attrice protagonista di molti spettacoli e film di Bene, nonché manager della sua compagnia e sua compagna. Presente in tutti i suoi spettacoli e film, spesso come protagonista assoluta, Lydia Mancinelli è stata testimone del periodo più fecondo della creazione di Bene e porterà una testimonianza su alcuni elementi degli spettacoli di cui la mostra espone le fotografie scattate da Abate.

Carmelo Bene a Palazzo Tagliaferro è un sogno inseguito per molto tempo che finalmente si realizza. Carmelo Bene rappresenta, come il premio Nobel Dario Fo o come Totò, l’espressione cristallina di quella lucida e geniale follia che il teatro, il cinema e la poesia italiana sanno assumere in alcuni momenti della loro storia. Visto da Claudio Abate, che è uno dei maggiori fotografi che abbiamo, nonché “testimone oculare” di Bene e di gran parte della migliore arte italiana degli ultimi 40 anni, significa “celebrare due maestri con una mostra”, colti in uno dei momenti più significativi della storia d’Italia: quel decennio, dal 1962 al 1972, in cui tante cose sono accadute e durante i quali a Roma due giovani talenti iniziavano da amici e complici i loro passi verso le glorie future. In tal senso, questa mostra è profondamente educativa, bella da vedere e da immaginare anche al di là delle immagini e grazie alle immagini”.

VISITABILE FINO AL 5 OTTOBRE 2014

SIAMO APERTI dal giovedì alla domenica 15.00 - 19.00 (invernale) / 19.00 - 23.00 (estivo)

ARTISTI IN MOSTRA

Carmelo Bene

Carmelo Bene nasce nel sud del sud dei Santi, a Campi Salentina, in provincia di Lecce, nel 1937. A vent'anni, dopo gli studi classici, approda all'Accademia di Arte Drammatica Silvio D'Amico: colui che verrà considerato il più grande attore del Novecento lascerà l'accademia dopo un anno, convinto della sua inutilità. Nel 1959 debutta come protagonista del Caligola di Albert Camus per la regia di Alberto Ruggero. Dopo questa esperienza, Carmelo Bene diventa regista di sé: reinventando il linguaggio teatrale, con uno stile ricercato e barocco, e manifestando il suo genio di attore. Comincia così il suo massacro dei classici: di questi anni sono Pinocchio (1961), Amleto (1961), Salomè (1964), Il rosa e il nero (1967). Scoppia il caso Carmelo Bene: egli viene considerato un affabulatore, un presuntuoso "massacratore" dalla critica, mentre l'intellighenzia dell'epoca (da Moriavia a Pasolini, a Flaiano) lo ritiene un vero genio. Un genio che si scaglia contro il teatro di testo a favore di un teatro da lui definito "scrittura di scena", un teatro del dire e non del detto, perché per Bene il teatro del già detto non dice, appunto, niente di nuovo, è solo un citare a memoria parole scritte altrove, quello che Artaud, a cui Bene si ispirò, definì "un teatro di invertiti".

Claudio Abate

Claudio Abate nasce a Roma nel 1943, dove vive e lavora tutt’oggi. Figlio di un pittore, egli mostra sin dalla prima adolescenza una vera e propria passione per l’arte e la fotografia. Inizia a lavorare all’età di 12 anni come “ragazzo di bottega” nello studio del fotografo Michelangelo Como, per poi aprire uno studio proprio a soli 15 anni. Inizia subito a lavorare con la Press Service Agency e, dal 1961 al 1963, lavora come assistente di Erich Lessing (tra i fondatori dell’Agenzia Magnum) al Life Magazine. Contemporaneamente segue e testimonia le vicende del teatro d’avanguardia e, in particolare, il lavoro di Carmelo Bene, lavorando per la rivista Sipario. Sue sono le foto di scena, durante la rappresentazione di Cristo 63′, spettacolo che provocò la chiusura definitiva del Teatro Laboratorio e la condanna in contumacia di Carmelo Bene, ma che grazie alle immagini di Abate quest’ultimo fu assolto. Collabora inoltre attivamente con un gran numero di artisti, partecipando al clima e al fermento di quegli anni. Dalla metà degli anni Sessanta, sino alla fine del decennio successivo, egli diviene più che un semplice fotografo, ma il “testimone oculare” di un intero periodo storico. I suoi scatti, unico prezioso documento di eventi di cui probabilmente oggi non avremmo traccia, diventano l’emblema di un epoca. Memorabili sono la fotografia dei Cavalli di Jannis Kounellis all’Attico, del 1969, e quella de Lo Zodiaco di Gino de Dominicis del 1970, in cui riesce interamente e mirabilmente a ritrarre, in un unico scatto, lo spazio di quelle complesse opere ambientali. Come ricorda lui stesso “Era necessario che realizzassi una fotografia de Lo Zodiaco capace di riassumere in sé l’opera intera perché quasi sempre rimane una sola immagine del lavoro e questa deve essere necessariamente la foto definitiva dell’opera, quella che l’artista riconosce e accetta come fosse sua”. Con il suo obbiettivo, Claudio Abate sembra aver accompagnato e riscritto in immagini la storia dell’arte italiana e non degli ultimi quarant’anni. Dopo i cosiddetti anni caldi, si delinea il suo compito di fotografo-lettore dell’arte contemporanea d’avanguardia. Inizia a sperimentare un linguaggio personale, lavorando con le diverse tecniche della fotografia. Cominciando dai Contatti con la superficie sensibile, 1972 egli tributa un omaggio a quanti artisti-amici erano stati, con lui, testimoni di un’esperienza, presentando opere in bianco e nero realizzate attraverso il contatto con la superficie sensibilizzata dalla luce. Negli anni Ottanta Abate per la prima volta si confronta con il colore, sempre tenendo vivo l’intimo dialogo con le opere e gli artisti che ritrae, ormai tratto distintivo e anima del suo lavoro. Trasferito più di recente il suo studio nel vivace quartiere romano di San Lorenzo, inizia un sodalizio con quella che negli anni Ottanta è stata definita la Nuova Scuola Romana. Dagli anni Novanta inizia a sviluppare interessanti ricerche coinvolgendo gli artisti, che invita a lavorare assieme a lui in camera oscura, sempre evidenziando da un lato le peculiarità di ognuno e, d’altro canto, mettendoli a contatto diretto con la sua personale ricerca. Oggi, le sue fotografie sono oggetto di numerose mostre nazionali e internazionali, in alcuni dei più prestigiosi spazi espositivi.